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giovedì 8 novembre 2007

Un rumeno non è tutti i rumeni

Un rumeno non è tutti i rumeni
di MICHELE AINIS
4/11/2007

La legge Mancino punisce con tre anni di galera l’istigazione all’odio razziale: a prenderla sul serio, metà dei politici italiani dovrebbe finire in gattabuia. Perché c’è una deriva razzista nella società italiana, e questa deriva viene ormai cavalcata da politici di destra e di sinistra, in cambio di qualche grammo di consenso a buon mercato. Così il delitto di un singolo diventa il crimine di un intero popolo. Così la sfida della globalizzazione viene affrontata negando allo straniero la sua stessa identità di uomo: ogni romeno è un rom, ogni rom è un tagliagole. Da qui l’assalto di una folla linciante a 48 zingari rinchiusi in un centro d’accoglienza cattolico a Pieve Porto Morone, durante lo scorso mese di settembre. Da qui le ronde, i pestaggi, i raid dopo l’omicidio di Giovanna Reggiani. Noi, per lo più, non ci rendiamo conto del brodo razzista in cui nuotiamo. Perché il razzismo lentamente sta permeando la nostra cultura, i nostri atteggiamenti pubblici e privati, perfino le parole che usiamo per definire il mondo. Per dirne una, «extracomunitario» è un termine razzista, dato che non qualifica lo straniero in base alla sua comunità d’origine bensì solo alla nostra, alla comunità europea dalla quale lui è irrimediabilmente escluso. Ma è razzista anche il tg che racconta un incidente d’auto sparando la nazionalità dell’investitore quando si tratta d’un albanese o un tunisino, chiamandolo con nome e cognome se invece il colpevole è italiano. No, è pressoché impossibile accorgersi di un tumore che cova sottopelle. Tuttavia il medico da fuori può svelarlo e infatti nel 2006 la Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza ha messo l’Italia all’indice, e altrettanto ha fatto il rapporto Amnesty 2007. Ecco perché c’è urgenza di rispolverare i principi della nostra civiltà giuridica. La responsabilità penale è personale, afferma l’articolo 27 della Costituzione. Significa che a uccidere è stato Romulus Mailat, non i 22 milioni di suoi connazionali. E d’altronde si deve a una romena l’immediata denuncia del colpevole. Ogni generalizzazione non è soltanto ingiusta, è anche a propria volta criminale, giacché restituisce fiato e corpo all’emergenza ebraica coniata dai nazisti. Pensateci: uno tra i delitti più efferati apparsi nelle cronache - quello del «canaro» - fu commesso da un italiano. Se è per questo, pure Al Capone aveva sangue napoletano nelle vene. Ma non è affatto lecito desumerne che gli italiani siano tutti delinquenti. Dovremmo rammentarcene, e dovremmo rammentarlo a chi ci rappresenta nel Palazzo. Il razzismo non è la soluzione per le nostre insicurezze. Al contrario: propaga odio, e quindi genera nuove insicurezze.
Fonte: La Stampa

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