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domenica 11 novembre 2007

L’uomo nero, il rom e il romeno

8/11/2007
L’uomo nero, il rom e il romeno
di MARIO DEAGLIO

All’incirca un romeno su quaranta appartiene all’etnia rom (affine agli zingari italiani), mentre all’incirca trentacinque su quaranta appartengono all’etnia romena che parla una lingua neolatina, affine all’italiano. In Romania, in modo non troppo dissimile all’Italia i rom vivono nelle periferie, mantengono una distinta identità, parlano una lingua di origine indiana, diversa da quella nazionale, fanno registrare un elevato tasso di microcriminalità, non sono ben visti dal resto della popolazione.Questa realtà differenziata dovrebbe far riflettere prima di tutto sui motivi della resistenza dei rom all’integrazione nelle società moderne, premessa per una politica di sicurezza e tranquillità per tutte le etnie. Un efferato delitto compiuto da un rom di cui è stata vittima un’italiana, preceduto da un incidente stradale con terribili conseguenze, provocato da un rom ubriaco hanno invece provocato un pericoloso appiattimento dell’opinione pubblica.Anche a seguito dell’impostazione di cronaca data dai mezzi di informazione, l’opinione diffusa tra gli italiani è: a) che tutti i romeni siano rom; b) che tutti i rom siano dei criminali, per lo meno in potenza; c) per conseguenza che tutti i romeni siano dei criminali in potenza e in particolare che la microcriminalità sia prevalentemente da attribuirsi ai romeni. Questo appiattimento di una realtà complessa ha indotto moltissimi italiani e anche molti segmenti del mondo politico, alla conclusione che, cacciando i romeni, l’Italia ricupererebbe tranquillità e felicità; ha determinato una rara risposta immediata del governo con un decreto di emergenza; ha obbligato il ministro dell’Interno all’incredibile dichiarazione che non si pensa a «espulsioni di massa», impensabili in un civile Paese europeo, quasi che la democrazia italiana fosse diventata la brutta copia del nazismo e naturalmente incompatibile con la posizione italiana di Paese fondatore del Consiglio d’Europa.Il mondo dell’informazione dovrebbe farsi l’esame di coscienza e domandarsi se il pericoloso sentiero di semplificazioni sul quale è avviata l’Italia con l’emergere di un arroventato clima anti-romeno (che ha provocato, o quanto meno fatto da sfondo a sporadici attentati contro cittadini romeni) non derivi almeno in parte dalla presentazione che vien fatta della cronaca e dallo scarso approfondimento di ciò che sta dietro la cronaca per cui si sono esasperate situazioni di fatto e si rischia di fare del «romeno» qualcosa di equivalente all’«uomo nero» delle favole.L’attenzione estrema a fatti di cronaca che coinvolgono negativamente i romeni si accompagna all’estrema disattenzione a ciò che succede in Romania, sicuramente il Paese dell’Europa Orientale più prossimo all’Italia non solo per i legami antichi della lingua ma anche per quelli recenti dell’economia. Tra Italia e Romania si è verificata una straordinaria integrazione, in quanto la Romania è l’unico Paese al mondo in cui le imprese italiane, soprattutto quelle medio-piccole, hanno trovato un humus favorevole alla crescita. È l’unico Paese nel quale è stato possibile trapiantare il modello italiano del «distretto industriale». Decine di voli al giorno collegano gli aeroporti di Bucarest e Timisoara con i principali scali aerei italiani; circa ottocentomila romeni lavorano nel loro Paese per imprese italiane, più delle svariate centinaia di migliaia che lavorano in Italia. Una parte della prosperità di alcune zone d’Italia dipende in maniera cruciale dalla delocalizzazione parziale in Romania che ha consentito loro di restare sul mercato e recuperare quella competitività di prezzo che diventa sempre più difficile con la localizzazione in Italia. Per conseguenza, l’Italia è divenuta il principale partner economico della Romania.Eppure la Romania va sulle prime pagine solo in occasione di fatti criminali, forse un italiano su mille conosce il nome del suo presidente o del suo primo ministro, forse uno su diecimila sa qualcosa dei suoi problemi e delle sue politiche. Gli inviati si mandano sulle scene dei delitti e degli incidenti che fanno notizia mentre abbiamo perduto la nostra capacità di osservazione spassionata di aspetti meno appariscenti e solo apparentemente lontani della realtà. L’Italia sostanzialmente si disinteressa del resto del mondo se la sua attenzione non è richiamata da qualche fatto sensazionale; questo disinteresse è una forma di miopia, una mancanza di curiosità che ci porta a fare errori gravi, a perdere occasioni, a spingerci verso la strada dell’intolleranza.
Fonte: La Stampa

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