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venerdì 23 maggio 2008

Il ladro di fettuccine


di Pierluigi Sullo
[21 Maggio 2008]
Un piccolo episodio mi ha colpito: due paesi dell’alto Lazio, il Tg3 regionale racconta di «ronde» notturne di cittadini «esasperati dai furti nelle case». I due paesi hanno poco più di 3 mila abitanti uno, poco più di mille l’altro. Allora, dato che mi capita di andarci e di pranzare con un abitante del luogo, elettore del centrosinistra, gli chiedo come mai. Lui mi racconta che ci sono stati alcuni episodi di furti: ad esempio, in una casa, di notte, mentre i proprietari dormivano al piano di sopra, qualcuno è entrato. E ha rubato?, chiedo. E lui: sì, ha aperto il frigorifero e ha mangiato le fettuccine avanzate dalla cena e un salume, e certo è fastidioso, aggiunge, che qualcuno ti entri in casa, ma probabilmente era solo – dice–«un romeno che aveva fame». E mentre racconta il cameriere del ristorante in cui siamo gli appoggia davanti il risotto alla marinara. Il cameriere è romeno, e il mio conoscente lo chiama per nome, con familiarità. Usciamo e l’uomo non trova le chiavi della macchina: ah, le lascio sempre nel quadro, dice sollevato. E si avvia a parlare con la titolare dell’agenzia immobiliare a cui ha affidato una casa da vendere. Lei è bulgara, ha sposato un moldavo che fa il muratore e hanno dei figli nati in Italia.
Cosa suggerisce, l’aneddoto? Ovviamente, che la «percezione» dei romeni è scissa dall’esperienza del rapporto con il cameriere romeno, l’agente immobiliare bulgara e il muratore moldavo. Lo è al punto che uno che considera il suo paese così «sicuro» da lasciare la macchina aperta con le chiavi dentro–gesto che sarebbe suicida a Roma–considera non demenziale che alcuni suoi concittadini passino la notte insonni alla caccia del ladro notturno di fettuccine fredde. La storia suggerisce, insomma, che la «sicurezza» è una entità che non ha gran che a che fare con la realtà della vita personale e sociale, ma ha molto a che fare con l’immaginario. Che a sua volta non è solo un frutto della malvagità dei media e dei politici che speculano sull’odio [anche, naturalmente], ma si forma fondamentalmente sulla base di quel che desideriamo che il mondo sia, e come ci figuriamo lo scarto tra il desiderio e quel che i nostri sensi, come abitanti e come telespettatori, ci trasmettono.
Ora, non sappiamo se il cameriere rumeno, l’agente immobiliare bulgara e il muratore moldavo, tanto familiari nell’orizzonte del mio conoscente da diventare invisibili in quanto stranieri, abbiano tutte le carte in regola. Immagino che quella persona non se lo chieda nemmeno, perché sono parte – positiva–delle sue normali relazioni sociali, ma di sicuro penserà che il ladro di fettuccine, inevitabilmente romeno [in passato sarebbe stato albanese o marocchino, e prima ancora calabrese], è di sicuro «clandestino». Anche se i romeni sono comunitari e dunque non possono esserlo. Perché il discrimine passa per un’altra via, precisamente quella per cui gli energumeni al governo fanno una differenza tra «clandestino» generico e «clandestina» badante o colf. Le seconde fanno parte delle normali e positive relazioni sociali dei benestanti, specialmente di destra, che consegnano bambini e anziani e case alle cure di badanti e colf, e che dunque non capirebbero perché persone così dovrebbero essere condannate a quattro anni di galera, ecc. Dalla parte del governo sembrerebbe una contraddizione insensata, ma in verità conferma l’immaginario sulla «sicurezza», che distingue tra chi è «utile», ed è conosciuto in quanto persona, e chi appartiene al mondo degli spaventapasseri. Provate a smontare questo congegno, se ne siete capaci.
Fonte: Carta.

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