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sabato 26 gennaio 2008

«Il salario spetta anche al clandestino»

Innovativa pronuncia del giudice del lavoro padovano Gaetano Campo
«Il salario spetta anche al clandestino»
Accolto il ricorso di un lavoratore irregolare assunto ma senza diritti

Aveva lavorato più di nove mesi accudendo il bestiame di un’impresa agricola che opera nelle campagne di Montegrotto. Aveva lavorato come mandriano 7 giorni su 7, dalle 5 alle 20, salvo un’ora di paura per il pranzo. Nessun salario fisso. Solo alcuni anticipi di danaro contante in cambio di uno stipendio promesso di 2,50 al massimo 3,50 euro l’ora. Malattie retribuite? Ferie? Permessi? Pagamenti per lavoro straordinario? Manco a parlarne. Anzi, quanto è finito quello «sfruttamento», non è stato versato nemmeno il Tfr, la liquidazione che spetta a ciascun lavoratore. Non ha accettato di subire in silenzio quel lavoratore rumeno, all’epoca extracomunitario e senza permesso di soggiorno, un «senza diritti» per definizione oggi pienamente entrato nella Comunità Europea con l’ingresso della Romania nell’Unione. Così nel febbraio 2005, nonostante la consapevolezza di essere un «invisibile», ha presentato un ricorso al tribunale di Padova reclamando i diritti riconosciuti a qualunque lavoratore regolare: stipendi arretrati, straordinari, Tfr, indennità per ferie e permessi non goduti, il tutto per un totale di 14.667,82 euro. E ha vinto, a più di due anni di distanza dall’avvio della vertenza. Il giudice del lavoro Gaetano Campo ha accolto il ricorso del lavoratore (assistito dall’avvocato Paolo Mangione), condannando la datrice di lavoro Angela Berto (difesa dai legali Stefano Fratucello e Alessandra Parravicini) al pagamento dei 14.667,82 euro reclamati, aumentati della rivalutazione Istat e degli interessi, oltre alle spese processuali.Semplice quanto lineare il concetto attorno al quale ruota l’innovativa sentenza del giudice Campo, tra i primi magistrati negli anni ’90 a riconoscere i benefici previdenziali ai lavoratori esposti all’amianto in relazione alla durata e all’intensità dell’esposizione. «Il rapporto di lavoro del lavoratore “clandestino” non comporta la soppressione dei diritti patrimoniali maturati in conseguenza dello svolgimento della prestazione lavorativa», scrive il magistrato padovano. Bocciata la tesi sostenuta dalla difesa di Angela Berto, secondo la quale nullo era il contratto di lavoro perché il rumeno era irregolare e, pertanto, senza diritti. Senza diritti come una prostituta straniera priva di permesso di soggiorno che non può reclamare soldi dal cliente. Niente da fare. È la datrice dalla parte del torto, per aver violato l’articolo 22 del Testo unico sull’immigrazione. «Articolo - si legge nella sentenza - che sanziona la condotta del datore di lavoro che impieghi un lavoratore straniero non in regola con le norme in materia di soggiorno. Tuttavia la violazione di questa norma non comporta l’illiceità del contratto di lavoro stipulato dal lavoratore privo di permesso di soggiorno - chiarisce il giudice Campo - dal momento che quest’ultimo costituisce un requisito di efficacia e non di validità del contratto... Tanto è vero che, nelle ipotesi in cui il lavoratore non in regola con le norme sul soggiorno perda il permesso, non si determina l’automatica estinzione del rapporto...». C’è un’importante norma che si applica al rapporto di lavoro dell’immigrato privo di permesso. «È la norma di cui all’articolo 2126 del codice civile che riconosce in ogni caso al lavoratore il diritto alla prestazione retributiva e ad ogni altra prestazione prevista dal contratto e connessa con l’instaurazione del rapporto di lavoro - sottolinea ancora il giudice - tutelando in questo modo i diritti derivati dall’effettiva esecuzione della prestazione lavorativa». Una previsione peraltro contenuta in una norma della Convenzione Oil del 1975 (Organizzazione internazionale del lavoro) che riconosce al lavoratore migrante il diritto alla parità di trattamento con i lavoratori nazionali sotto il profilo retributivo, anche quando la legislazione in materia di ingresso non sia stata rispettata. Il giudice specifica: «L’articolo 2 del Testo unico sull’immigrazione riconosce a tutti gli stranieri, indipendentemente dalla titolarità del permesso di soggiorno, i diritti fondamentali previsti dalla legislazione nazionale tra i quali va senz’altro compreso quello alla retribuzione indicato dall’articolo 36 della Costituzione». Ecco perché al rumeno che ha presentato il ricorso «vanno riconosciuti tutti i diritti patrimoniali connessi all’avvenuta prestazione lavorativa».
(24 gennaio 2008)
Fonte: L'espresso.

2 commenti:

  1. E quando mai Gaetano Campo ha respinto il ricorso di un lavoratore? Ma fatemi il piacere...

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  2. caro Anonimo, dovresti vergognarti.

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