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lunedì 22 dicembre 2008

Degrado, treni fatiscenti e imbrattatori: benvenuti sulla Roma-Viterbo


di Luca Monaco

ROMA (18 dicembre) - Le stazioni fantasma sulla Roma-Viterbo parlano di insicurezza, buio, pioggia, paura. Treni spesso vecchi e fatiscenti. Persone che attraversano i binari a qualsiasi ora del giorno. Postazioni antincendio trasformate in raccoglitori per le immondizie. Pareti a volte prese in prestito dalla fantasia dei writers, e molte altre ancora ostaggio di liberi e anonimi imbrattatori. Vista con gli occhi di un macchinista la Roma-Viterbo è semplicemente «una delle ferrovie peggiori d’Europa».

«Come nel far west». Così Aldo - è il nome di fantasia con cui chiameremo un macchinista da 15 anni in servizio su questa linea - annuisce quando al capolinea di piazzale Flaminio, mentre i pendolari terminata la giornata di lavoro sciamano verso i binari per prendere la via di casa, gli si domanda se le lamentele dei passeggeri siano da considerarsi fondate. «Le stazioni? Per lo stato in cui versano in alcuni casi sembra di tornare ai tempi del Far West». E anche riguardo a chi mette a repentaglio la propria vita scegliendo di attraversare i binari invece di usare il sottopassaggio, osserva: «Capita tutti i giorni, ma nessuno se ne occuperà finché non finirà in tragedia. Mi è capitato più di una volta di dover frenare all’ultimo momento per evitare il peggio. Fortunatamente mi è sempre andata bene».

Sul treno si viaggia in piedi. Alle sei del pomeriggio i vagoni sono letteralmente presi d’assalto da ondate di pendolari. C’è chi sfoglia la free press e chi rilegge le carte di lavoro. Le mani callose di un operaio si aggrappano al corrimano, e mentre il treno imbocca con poca dolcezza una curva, sfiorano per un attimo quelle curate di un libero professionista in gessato grigio.

La prima fermata è Euclide. Molti salgono. Altri, come il signor Franco, scelgono di ritornare al capolinea pur di poter trovare un posto a sedere: «Devo arrivare fino a Castel Nuovo, l’unico modo che ho per sperare di riuscire a sedermi è tornare al Flaminio e salire sul treno successivo». Non dovrà attendere molto. I treni, almeno quelli, partono con puntualità. «Il servizio sotto questo aspetto è ottimo», dice la signora Daniela, prima di scendere dal treno e inoltrarsi nel cuore dei Parioli. Opinione condivisa anche da Rosetta, professoressa di fisiologia in un istituto odontotecnico a Primavalle, che puntualizza: «Il problema è riuscire a far collimare gli orari del treno con le corse degli autobus che portano alle stazioni. Spesso si perde il treno a causa dei ritardi dei mezzi pubblici».

Attraversamento selvaggio. Poi c’è la questione sicurezza. E per rendersi conto dello stato delle cose non bisogna far altro che scendere a una fermata qualsiasi del tratto urbano, compreso tra piazzale Flaminio e Montebello. Immagini che parlano da sole, e anche i passeggeri non lesinano lamentele. Così nella stazione di Via Due Ponti sembra quasi che una delle figure ritratte nell’immenso murales che “anima” le pareti del sottopassaggio abbia preso vita, quando si scorge la signora Antonella salire la rampa di scale che portano al binario. Lei, come molti suoi colleghi, è appena uscita dalla sede della Protezione civile, distante poche centinaia di metri. «Ogni volta che imbocco quel cunicolo spero sempre di non trovare qualcuno pronto ad aggredirmi: qui controlli non ce ne sono». E mentre la signora parla, un gruppetto di tre ragazzi sgattaiola sui binari per raggiungere la banchina in direzione Roma.

«Accade di continuo, non è certo una novità - conferma stizzita, Paola, anche lei impiegata alla Protezione civile -. E per fortuna che ora hanno ripristinato l’illuminazione del sottopassaggio. E’stato lasciato quattro mesi al buio, e la sera anche io attraversavo sui binari. Preferivo rischiare la vita in quel modo, piuttosto che inoltrarmi da sola in quel corridoio». La biglietteria è chiusa. Solitario, un cestino dei rifiuti rotto e stracolmo fa compagnia ai pendolari in attesa del treno. Il montacarichi per i disabili, alla stazione di Due Ponti, sembra essere un’ utopia.

Sala d’attesa sotto le stelle. Eppure c’è di peggio. Sulla tratta urbana della Roma-Viterbo, in corrispondenza di alcune fermate (non tutte, finora quelle ristrutturate sono: Saxa Rubra, La Giustiniana e Montebello. In via di apertura: Acqua Acetosa, Tor di Quinto e Monte Antenne) le pensiline per ripararsi dalla pioggia sembra che non siano mai state inventate. Ne sa qualcosa Cosimo, 13 anni, canottiere al Circolo Tevere Remo, che attende sono una fitta pioggerellina il treno che lo riporti a casa finiti gli allenamenti. Lui si adatta con il cappuccio del giubbotto, perché alla fermata di Campi Sportivi non esiste né una biglietteria, né tanto meno un riparo. A far compagnia ai quattro lampioni di numero, c’è solo una enorme struttura in ferro, che funge da ponte per l’ attraversamento dei binari. Lungi dall’essere illuminata a sufficienza anche la stradina che collega le strutture sportive alla stazione: « Quando finisco tardi gli allenamenti me la faccio di corsa», dice Cosimo, che non nasconde un certo timore ad attraversare quel tratto di strada buia in solitudine.

C’erano una volta gli estintori. E se a Campi Sportivi si è costretti a sperare che non piova, a Grottarossa accade l’esatto contrario. Le pensiline qui ci sono, mentre le postazioni antincendio, anticamente dotate dell’apposito estintore, sono state riutilizzate come innovative pattumiere: vecchi giornali, un pacchetto di sigarette, bucce di mandarino. Stesso discorso anche alla fermata del Centro Rai, come fuori dalla stazione di Prima Porta, nel complesso una delle migliori insieme a quella di Saxa Rubra. Prossima fermata, Centro Rai.

Nella galleria del vento. Quella che si è obbligati a chiamare stazione non è altro che un grande tunnel in plexiglas, ormai interamente invaso dai graffiti, anneriti anche quelli a causa dello smog prodotto dal traffico della via Flaminia. La tramontana, che soffia prepotente, scompiglia i lunghi capelli biondi di una signora, solleva in aria i fogli di un vecchio giornale. Il rumore delle raffiche del vento vengono interrotte solo dallo stridere delle ruote della carrozze in arrivo. Eccezion fatta per il treno, non c’è null’altro, in un luogo che si fa fatica a definire “stazione”.

Per capire dove porta questa scia di degrado basta seguire gli spruzzi di vernice delle «crew» del graffito, osservare le ombre marroncine provocate dalla polvere di ferro sui mattoncini bianchi prefabbricati, contare i cumuli di cicche sui binari e le decine di pacchetti di sigarette vuoti sulle banchine, o i raccoglitori per i rifiuti. Il più delle volte distrutti. Potreste essere arrivati nelle stazioni di La Celsa, Labaro o chissà quale altra ancora.

Le barriere architettoniche. Ma le stazioni della Roma-Viterbo, non sono solo questo. Sono un calcio alla civiltà nel vero senso della parola. Sono lo sguardo preoccupato di una mamma con il passeggino costretta a dipendere dalla gentilezza degli altri viaggiatori perché altrimenti non saprebbe come salire e scendere dal treno e né tantomeno imboccare le scale di un sottopasso per arrivare ai binari. Nel caso dei disabili, invece, è semplicemente una linea fantasma. Inaccessibile. Quindi inesistente.

Fonte: Il Messaggero.

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